La Sanità italiana, nel nuovo quadro delineato dall’emergenza Covid-19, sta diventando teatro di un vero e proprio scontro tra Titani, alla ricerca di un’integrazione e compresenza – all’interno di reti territoriali – della sanità pubblica, privata convenzionata ed integrativa.
Come si poteva intuire, la crisi provocata dalla pandemia ha sollevato – e scoperchiato – una crisi strutturale già in atto, un processo in cui gli ospedali e le strutture sanitarie – per le politiche di austerità e i tagli conseguenti – hanno dovuto rivedere nel profondo la loro operatività.
Si sono sperimentati nuovi modelli come quello dell’ospedale a “intensità di cure” o altri ancora come quelli sperimentati in nord Europa dei così detti “ospedali senza letti”: meno posti letto, nuove procedure e tecnologie meno invasive.
Poi il Covid-19 ha fatto la differenza: ha tolto le zone d’ombra, ha fatto esplodere le contraddizioni e le cronicità, ha imposto una riflessione a tutto campo, di sistema.
A fronte di quanto emerso con la pandemia si è creato il clima per ripensare una politica sanitaria basata su modelli in parte diversi da prima: gli ospedali visti come strutture a media e alta complessità assistenziale, le reti territoriali come network integrati tra ASL – Comuni – Terzo Settore – cooperazione sociale, i Distretti come “agenzie di governo” dei bisogni di salute della popolazione residente nel loro territorio.
Abbiamo identificato alcune delle novità a livello normativo e buone pratiche che sono emerse negli ultimi mesi, che impongono delle riflessioni a largo raggio, per pensare ed attuare nuove strategie di marketing e di penetrazione del territorio, al passo con i grandi cambiamenti in atto nella sanità:
ll Piano Nazionale dei Rinascita e Resilienza
ll PNRR imposta di fatto un modello di SSN e di SSR su infrastrutture e modelli uniformi di servizi e di reti, con un’idea di riorganizzazione complessiva della sanità pubblica o convenzionata.
Nel PNRR – per i nuovi modelli di Case di Comunità, Ospedali di Comunità et similia – si prevede la possibilità di una gestione “convenzionata” da parte di soggetti del Terzo Settore o della Cooperazione Sociale, ma anche di Assicurazioni e Fondazione Bancarie, conosciuti in Italia come gestori della “sanità integrativa”. Diversi gruppi finanziari privati stranieri, infatti, sono entrati in Italia e hanno rilevato strutture una volta socie delle Federazioni ed Associazioni di categoria, creando delle proprie reti specializzate.
In questa prospettiva si aprirebbe una nuova porta per un ingresso organizzato del privato nei SSR. Questo quadro potrebbe rivelarsi estremamente positivo se il confronto e la competizione tra pubblico e privato convenzionato si rilevasse come un rapporto alla pari. In questo modo manager pubblici e manager della sanità convenzionata sarebbero nella condizione di gestire in modo efficiente, efficace e appropriato – e soprattutto sostenibile – le aziende sanitarie.
Su questo piano i vincoli burocratici e normativi sono tanti, spesso pesanti e caratterizzati da tempistiche decisamente lunghe per gestire beni e servizi o governare rapporti in outsourcing.
Le ASL – a prescindere dal PNRR – dovrebbero essere in grado da tempo di rispondere ai bisogni a bassa complessità, tramite la prevenzione e altre modalità di funzionamento delle cure primarie, e a quelli a media e alta complessità assistenziale con gli ospedali e con le strutture intermedie territoriali e/o con i servizi domiciliari; ma purtroppo, ancora oggi, la stessa profilazione dei bisogni del singolo paziente – o i criteri di valutazione – risultano difformi Regione per Regione, o Asl per Asl.
La Bozza del Ddl concorrenza
Per la sanità si prevedono nuove norme per le convenzioni tra Ssn e strutture sanitarie private, che dovranno tener conto di volumi, costi e qualità.
Si intende agevolare l’accesso all’accreditamento delle strutture sanitarie private introducendo criteri maggiormente dinamici per la verifica periodica delle strutture private convenzionate.
Il Ddl concorrenza – con alcune modifiche e integrazioni al Dlgs 502 del 1992 – prevede che non ci sarà più l’accreditamento provvisorio per le nuove domande di convenzione, riformulando la norma attuale (articolo 8 quater, comma 7) e stabilendo che “nel caso di richiesta di accreditamento da parte di nuove strutture o per l’avvio di nuove attività in strutture preesistenti, l’accreditamento può essere concesso in base alla qualità e ai volumi dei servizi da erogarsi, nonché sulla base dei risultati dell’attività eventualmente già svolta “tenuto altresì conto degli obiettivi di sicurezza delle prestazioni sanitarie”.
La norma attuale del 502 prevede invece che nel caso di richiesta di accreditamento da parte di nuove strutture o per l’avvio di nuove attività in strutture preesistenti, l’accreditamento può essere concesso, in via provvisoria, per il tempo necessario alla verifica del volume di attività svolto e della qualità dei suoi risultati e che l’eventuale verifica negativa comporta la sospensione automatica dell’accreditamento temporaneamente concesso.
Nel Ddl è poi previsto che le strutture da accreditare siano individuate “mediante procedure trasparenti, eque e non discriminatorie, previa pubblicazione da parte delle regioni di un avviso contenente criteri oggettivi di selezione che valorizzino prioritariamente la qualità delle specifiche prestazioni sanitarie da erogare”.
Inoltre “la selezione deve essere effettuata periodicamente tenuto conto della programmazione sanitaria regionale e sulla base di verifiche delle eventuali esigenze di razionalizzazione della rete in convenzionamento, per i soggetti già titolari di accordi contrattuali, dell’attività svolta.”
Anche i costi saranno oggetto di valutazione comparative per l’accreditamento mentre le strutture accreditate saranno comunque tenute a “pubblicare nel proprio sito internet i bilanci e i dati sugli aspetti qualitativi e quantitativi dei servizi erogati e sull’attività medica svolta dalle strutture pubbliche e private”.
Formazione Ecm
La normativa in campo di Formazione continua in medicina prevede che medici e operatori sanitari avranno 3 mesi (31 dicembre 2021) per mettersi in regola. Non ci saranno ulteriori proroghe per gli obblighi formativi e a partire dal prossimo anno scatteranno controlli e sanzioni a tutti i livelli, individuali, e aziendali, da semplici avvertimenti fino alla radiazione dall’albo.
La formazione per l’aggiornamento professionale, indica il sottosegretario alla Salute, Pierpaolo Sileri, è il primo e più importante pilastro dell’attività di ogni professionista sanitario. A fronte della volontà di aumentare le risorse per la Sanità previste nella prossima Legge di Bilancio – e a ciò che è successo nell’ultimo anno e mezzo: evoluzione delle conoscenze sul virus Sars-Cov-2, ricerca sui meccanismi con cui la malattia Covid-19 infetta il nostro organismo e creazione, in tempi rapidissimi nuovi strumenti di contrasto e debellamento del virus – gli operatori sanitari sono chiamati a stare al passo con i tempi e con i criteri di massimizzazione della qualità e dell’aggiornamento professionale tramite la formazione, per le nuove sfide aperte alla sanità dall’attuale pandemia e alla velocità del progresso scientifico e tecnologico.